30/01/2015 - Dimensione pubblica della fede e CEDU del 27 gennaio 2015 n.25358/12
I tragici eventi di Parigi pongono ancora una volta, con la durezza di un pugno nello stomaco, l’attualità della domanda circa la legittimità e rilevanza della dimensione pubblica della fede. Infatti, nello scenario politico e sociale post Charlie Hebdo diversi autorevoli commentatori sono intervenuti affermando che l’origine delle stragi, oggi come ieri, è da ricercarsi esclusivamente nel fallace tentativo delle religioni monoteiste di ridurre e leggere la realtà, molteplice per natura, all’Uno. Tolleranza , correttezza, libertà di pensiero imporrebbero viceversa che vi sia pluralità di visione, del tutto inconciliabile con l’unico Dio.
Insomma, nonostante i secoli trascorsi ed il cammino compiuto, riemergono, con sorprendente attualità, i termini della disputa tra Sant’Ambrogio e Simmaco e la ricollocazione dell’Altare della Vittoria nel Senato di Roma, cui tributare anche il culto pubblico, nell’urbe ormai cristianizzata. Simmaco, campione della forza aristocratica pagana ormai in declino, chiede all’imperatore Valentiniano II, con buone maniere, il ripristino di antichi privilegi, mascherandoli come benefici universali e ragionevoli condizioni di pacifica convivenza.
Con buona cultura presenta come innocuo e salutare culto civile una tradizione in cui tutti dovrebbero riconoscersi, anche i cristiani, senza avvertire offesa alla loro coscienza.
Simmaco, infatti, si fece portatore di una concezione ispirata al pluralismo ed alla tolleranza religiosa che egli riassunse nelle parole: “dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento. Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda. Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande”.
Ma Ambrogio, ben scopre il gioco dell’avversario: ammantare di tolleranza e liberalità la mera difesa di privilegi ed interessi.
Denuncia all’imperatore l’offesa alle coscienze cristiane, subita in termini ben più gravi anche in passato, che quel ripristino determinerebbe: “se oggi, che non succeda, un imperatore pagano ordinasse di erigere in curia un altare agli idoli e quindi costringesse i senatori cristiani a riunirsi li, a essere presenti ai sacrifici, a respirare con i fedeli la cenere e le scintille e il fumo che si leva dall’altare, dai sacrileghi riti; se in una quella curia fossero i cristiani chiamati ad ascoltare la parola dell’imperatore e fossero anche costretti, prima di levarsi a parlare, a giurare presso l’altare (perché l’erezione dell’altare avrebbe il significato di considerare ogni riunione come consacrata dalla sua presenza, pur essendo ormai in curia il numero dei cristiani maggioranza), il cristiano che fosse costretto a venire in senato a tali condizioni si riterrebbe perseguitato: il che spesso accade, infatti son costretti a intervenire anche con minacce.
Ora è proprio sotto la tua potestà, sotto la potestà di un imperatore cristiano, che i cristiani dovranno essere costretti a prestare giuramento su un altare pagano? Perché che altro è giurare, se non riconoscere la potenza divina di colui nel nome del quale si attesta la propria buona fede? E, così, proprio sotto la tua potestà si domanda, si chiede che sia tu a ordinare di rimettere l’altare e finanziare cerimonie sacrileghe?” Insomma, sin dal 384 d.c. la vexata quaestio per il cristiano è la chiamata a giustificare la valenza pubblica della propria fede e l’invocarne il rispetto.
“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 14-16). Oggi come allora questo è il compito del cristiano, lo era per i nostri padri nella fede come per noi.
E l’importanza della dimensione pubblica della fede è così vitale per il cristiano da essere inerente la fede stessa: è testimonianza ed evangelizzazione. Sempre, in ogni ambito e argomento il cristiano è chiamato a “fare luce a tutti quelli che sono nella casa”, soprattutto nella società attuale dilaniata dalle sue contraddizioni. Pensiamo alla pericolosissima sentenza del 27 gennaio 2015 n.25358/12 della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo.
L'Italia è stata condannata perché ha allontanato un bambino dalla coppia che lo aveva ottenuto grazie al ricorso all'utero in affitto in Russia. Ma le autorità italiane, dopo aver accertato che il bambino, a differenza di quanto dichiarato dalla coppia, non aveva legami biologici neppure con il padre, lo hanno affidato a un’altra famiglia. La Corte Europea ha stabilito che, seguendo il principio del maggior interesse del minore, indipendentemente da qualsiasi legame biologico, il bambino deve rimanere con chi stabilisce con lui un rapporto affettivo. Insomma: il bambino è dell'ultimo che riesce a prenderselo, senza considerare come l'ha ottenuto, in che modo è stato generato, quali sono i suoi genitori biologici.
E' evidente come la sentenza consenta il ricorso all'utero in affitto nei paesi dove tale pratica è vietata, impedendo ai parlamenti e ai governi nazionali di decidere autonomamente. Ma non solo. Configura, pure, una sorta di diritto all'usucapione nei confronti del minore: basta che qualcuno riesca a tenere con sé un bambino per il tempo sufficiente a stabilire una relazione, e potrà tenerlo per sempre. Un pacco regalo che, in quanto oggetto, è ampiamente usucapibile secondo il principio del possesso vale titolo.
Contro questa sentenza assurda, che applica in modo insensato un principio giusto come il maggior interesse del minore, ogni cristiano, giurista o meno, è chiamato a far valere la propria formazione ed il proprio credo, che è innanzitutto logos, perché le argomentazioni fornite dalla CEDU sono una offesa innanzitutto al buon senso.
Ma se gli uomini di buona volontà avvertono l’ingiustizia che nasce da un pronunciamento così insensato rimanendo nella dimensione della sola razionalità, ciascuno di noi, seguendo l’insegnamento di Sant’Ambrogio, è chiamato anche ad un passo ulteriore: “la fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama” (Papa Francesco, enciclica Lumen Fidei). Il cristiano ha un compito ben più affascinante ed arduo: è chiamato a far volgere lo sguardo del mondo più in Alto ed amare e difendere il dono che ha ricevuto per trasmetterlo agli altri.
(Pubblicato sul periodico diocesano "Fermento" di Gennaio 2015)