19/10/2015 - Il dovere cristiano di obiezione di coscienza
E’ notizia di questi giorni che il Papa, durante la visita in America, ha incontrato Kim Davis, la funzionaria del Kentucky che ha passato cinque giorni in prigione dopo essersi rifiutata di rilasciare licenze matrimoniali a coppie omosessuali. L’incontro è avvenuto giovedì all’ambasciata della Santa Sede a Washington: il Papa si è intrattenuto con la signora Davis e, dopo aver ascoltato la sua vicenda, l’ha elogiata - «stay strong», sii forte - e le ha regalato un rosario.
E’ un episodio che testimonia il valore e l’importanza che la Chiesa dà al frutto più prezioso e grande della libertà cristiana: l’obiezione di coscienza.
Questa si basa sul primato della coscienza nella applicazione della legge. La coscienza può imporre una più stretta adesione ai principi morali universali, alla legge naturale e alla legge divina di quanto la legge formulata sia in grado di esprimere.
Sul volo di ritorno verso il Vaticano ha affermato il Papa in proposito: “Io non posso avere in mente tutti i casi che possono esistere. Ma posso dire che l’obiezione di coscienza è un diritto umano. È un diritto. E se una persona non permette di fare obiezione di coscienza, nega un diritto. In ogni struttura giudiziaria deve entrare l’obiezione di coscienza. (…) Se un funzionario di governo è una persona umana ne ha diritto”.
Nelle società attuali troviamo spesso riferimenti a valori morali discordanti se non addirittura contrapposti, e non di rado in materia morale le leggi esprimono visioni, che seppur condivise da una parte della popolazione, sono tuttavia contrarie alla legge naturale, alla legge divina ed evangelica. Se può essere lecito sostenere l’applicazione del male minore, in nessun caso è permesso compiere ciò che è intrinsecamente contrario ai precetti morali. L’obiezione di coscienza diventa allora particolarmente doverosa di fronte alle “leggi” che vorrebbero imporre una condotta contraria alla morale cristiana: «Le leggi di questo tipo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l’obiezione di coscienza. Sin dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha inculcato ai cristiani il dovere di obbedire alle autorità pubbliche legittimamente costituite (cfr. Rm 13,1-7; 1 Pt 2,13-14), ma nello stesso tempo ha ammonito fermamente che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”» (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 73).
Di fronte ad un precetto normativo immorale non è lecito nascondersi nella giustificazione dell’obbedienza dovuta, ma il cristiano, secondo dottrina, ha il dovere di negare l’obbedienza.
Infatti, come ha sostenuto il Papa nel discorso tenuto di ritorno dagli Stati Uniti, ove vigono visioni morali diverse sul valore della vita e sulla dignità umana il primato della coscienza dovrebbe non solo essere protetto ma addirittura favorito. Tutti i cristiani impegnati nel modo del lavoro devono cercare intensamente forme di associazione e di riconoscimento del diritto di obiezione in tutti i campi ove tale diritto debba essere esercitato o risulti invece minacciato. Ciò per favorire l’esercizio libero della coscienza in rispetto della dignità della persona, del valore intangibile della vita umana e della legge naturale e divina.
Infatti, ove iniquamente non venga riconosciuto il diritto di obiezione, la Chiesa chiama i suoi figli a una obbedienza eroica al Signore. «La Chiesa propone l’esempio di numerosi santi e sante che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all’onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato verso il loro giudizio, secondo cui l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei sui comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita» (Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 91).
Del resto sin dai tempi di Antigone è chiaro al cuore dell’uomo che la parola di Dio ha valenza maggiore della legge umana. E con lei, e la sua scelta di obbedire alle leggi divine piuttosto che all’ingiusto decreto del nuovo re di Tebe Creonte, tornano alla mente i passi degli Atti di Massimiliano, uno dei primi martiri cristiani ed obiettore: “non accetto il contrassegno del mondo; e se me lo imporrai, lo strapperò, perché non ha alcun valore; io sono cristiano, e non posso portare al collo una piastrina di piombo, dopo aver ricevuto il segno di salvazione del mio Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivo, che tu non conosci, che ha patito per la nostra salvezza, che Dio ci ha mandato per i nostri peccati. Questo è il Dio che noi cristiani tutti serviamo, questo il Dio che seguiamo come capo della nostra vita e autore della nostra salvezza (…) la mia milizia è per mio Signore, non posso militare per questo mondo. Te l’ho già detto, sono cristiano”.
(Articolo pubblicato sul periodico diocesano per Brindisi/Ostuni “Fermento” di Ottobre 2015)
