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20/03/2019 - Sub Tutela Dei: Livatino, testimone di fede e diritto.
Sub Tutela Dei: Livatino, testimone di fede e diritto.

Relazione del Convegno tenutosi a Mesagne (BR) il 16/3/2019 ed organizzato dalla Pastorale Sociale Diocesana ed il Centro Studi Livatino.

Nella scarpata dove Rosario Livatino aveva tentato di sfuggire ai killer mafiosi venne trovata la sua agenda di lavoro. Sulla prima pagina le tre lettere “STD”. Il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza, che per primo indagò sull’omicidio, racconta che per diverso tempo arrovellò gli inquirenti il dubbio su cosa potesse nascondere quella sigla. Poi - dice - abbiamo scoperto che voleva dire “Sub tutela Dei”. Stava a dimostrare il fatto che Rosario Livatino si affidava al Signore non solo come cittadino ma anche nell’esercizio della sua funzione di magistrato.
Questo era Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”, di cui recentemente ad Agrigento si è chiusa la fase diocesana di beatificazione. E lo è stato fin dal primo giorno da magistrato, ad appena 26 anni. Era il 1978 e sempre sulla sua agenda aveva scritto: «Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione, che i miei genitori mi hanno impartito, esige».
Codice e Vangelo accompagneranno tutta la sua intensa vita. Così ogni mattina, prima di entrare in tribunale ad Agrigento, andava a pregare nella vicina chiesa di San Giuseppe. Non amava, per carattere e per scelta, il palcoscenico. Ma non viveva da recluso né nascondeva le sue idee, sia nell’Azione cattolica che negli incarichi nell’Associazione Nazionale Magistrati, e soprattutto nei pochi testi che ci ha lasciato. Tutti attualissimi. Il compito del magistrato – leggiamo in un intervento su “Fede e diritto” del 1986 – è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio.
Un rapporto che Livatino sentiva profondamente. «La giustizia – scriveva ancora – è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio».
In un intervento tenuto il 30 aprile 1986 dalle suore vocazioniste di Canicattì, smentiva il presunto antagonismo tra carità e giustizia, richiamando il compito difficilissimo della decisione, che per il magistrato credente diventa ‘realizzazione di sé, preghiera e dedizione a Dio, in un rapporto diretto con Lui’, nella cancellazione di ogni vanità e superbia personale.

Commentando il passo evangelico in cui Cristo afferma la sua missione di compimento dell’antica Legge mosaica, sosteneva che la giustizia è necessaria alla società, ma non basta; l’uomo non può vivere in funzione della legge, ma, nella carità, renderà la legge uno strumento di pace.
Anzi, sempre nello stesso intervento affermava che “il diritto biblico si presenta come un sistema rigorosamente etico, tendente non solo, e forse addirittura non tanto, a realizzare un ordine, formale o sostanziale che sia, nella comunità politica terrena, bensì a consentire ed agevolare la perfezione morale dei singoli, considerati come membri della comunità, ma soprattutto come persone e come figli del Padre trascendente: il concetto, in altri termini, del diritto e, tutto considerato, dello stesso Stato, come strumenti della fondazione della ‘civitas Dei’ e, in via immediata, della salvezza di ogni singolo uomo” (R. Livatino, Fede e Diritto).
Parole che lui ha saputo incarnare in gesti concreti.
Così andava all’obitorio a pregare accanto al cadavere di mafiosi uccisi, alcuni dei quali aveva giudicato. E in un caldissimo Ferragosto andò personalmente a portare in carcere il mandato di scarcerazione per un recluso. E quando all’ufficio matricole si stupirono, lui rispose semplicemente: «All’interno del carcere c’è una persona che non deve restare neanche un minuto in più». Coerente con quella frase sempre trovata in una delle sue agende, poche parole, un programma di vita. «Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili». Un impegno di vita che a ben riflettere si pone nel solco di quello indicato da Papa Francesco: i santi non sono solo «quelli già beatificati e canonizzati», ma il «popolo» di Dio, cioè ognuno di noi, che può vivere la santità come un itinerario fatto di «piccoli gesti» quotidiani. (Gaudete et Exsultate).


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