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07/09/2020 - I cattolici in politica e l'invito del Papa

Molto spesso il magistero della Chiesa si è prodigato a chiamare i fedeli all’impegno sociale e politico, ma quello di Papa Francesco ha senza dubbio il pregio di farlo con un linguaggio estremamente semplice ed efficace che lascia poco spazio al dubbio nel suo interrogare e pungolare la coscienza.
E con estrema forza Papa Francesco invita ciascuno all’impegno, all’uscire dalle sacrestie e a “puzzare di gregge”.
Personalmente ho sempre interpretato questo invito come una chiamata personale, a non essere un professionista del lamento, come chi dice va tutto male ma rimane oziosamente seduto sul proprio divano.
Rimboccarsi le maniche innanzitutto, ma sicuramente questo non basta perché il cristiano è chiamato ad essere sale della terra, cioè portatore di un “centuplo” da spendere nel proprio impegno, soprattutto in quello politico, la cui stella polare è necessariamente il bene comune, cioè il bene stesso dell’intera società.
Non mancano neanche le “buone idee” da mettere in campo per una buona politica, perché la Dottrina Sociale della Chiesa non solo ha la forza di un programma completo, ma individua anche i percorsi per attuarlo.

Eppure nonostante ciò lo scenario appare desolante e ciò lo si avverte soprattutto in questi giorni di campagna elettorale, dove riflettere sull’apporto dei cattolici in politica appare un mero esercizio intellettuale.
Difatti, molto spesso anche i cattolici impegnati in politica appaiono divisi e litigiosi, più che segno di contraddizione con il mondo, come insegna il Maestro, risultano irrilevanti culturalmente e numericamente.
Forse ciò che manca davvero più che le persone chiamate a testimoniare l’impegno cristiano, o la voglia di spendersi in tal senso, probabilmente è proprio la capacità di interpretarne il messaggio.
A tal proposito ricordo con fervore le parole rivolte da Papa Francesco ai membri del Centro Studi Livatino nella sua riflessione che partiva proprio dalla stessa vita del magistrato: “mi ritrovo molto in un’altra riflessione di Rosario Livatino, quando afferma: «Decidere è scegliere e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto, per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”. In questo modo, con queste convinzioni, Rosario Livatino ha lasciato a tutti noi un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con il servizio al prossimo. Probabilmente ciò che si è perso è proprio questo: il rapporto autentico con l’altro, che per il cattolico, non può che essere innanzitutto con Dio.

* Avv. Pantaleo Binetti – Resp. Regionale Centro Studi Livatino

Intervento pubblicato il 7/9/2020 sulla Gazzetta del Mezzogiorno - Edizione del Salento (Brindisi-Lecce-Taranto)


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